Breslavia e il quadro più grande del mondo

La storia del quadro più famoso di Breslavia comincia a Cracovia, dove alla fine del XVIII secolo un tizio dal nome impronunciabile sollevò una rivolta contro i russi diventando un eroe nazionale. Si chiamava colonnello Kosciuszko, e mai ne avrei sospettato l’esistenza se a Cracovia non fossi stato sobillato ad andare a vedere la campana di Sigismondo nella Cattedrale del Wawel, e non ne avessi scoperto il sepolcro.

Tornato a casa venni a sapere che la sua impresa piu nota è immortalata sulla tela più grande del mondo. E come l’ultimo dei turisti ingenui che si fa irretire dalle reclame, eccomi di nuovo in volo per la Polonia. La destinazione è Jarocin, certo, ma sono le deviazioni il mio core business.

Primavera a Breslavia

Dopo la gelida esperienza invernale di Cracovia e Varsavia, la Polonia mi accoglie stavolta con una luce ed un sole decisamente inaspettati; e se a Danzica era stato il blu del crepuscolo a sfumare le variopinte facciate della Via Reale, a Breslavia è un cielo primaverile ad esaltare i colori pastello degli alti e stretti palazzi che circondano la Piazza del Mercato.

Visito rapidamente la Rathaus, la sede del governo cittadino dalle decorazioni gotico fiammeggianti, e poi mi siedo su una panchina a sorseggiare la prima Tyskie della giornata e a guardarmi attorno, accarezzato dal tepore del primo pomeriggio. All’angolo della piazza, una chiesa fa capolino da una posizione leggermente defilata. Curiosamente ne posso scorgere solo il lato destro e l’abside, e non la facciata che dà invece su una stradina secondaria. Ma questo è abbastanza frequente e tipico delle città polacche, dove persino le cattedrali non hanno un sagrato e non sono quasi mai associate ad una piazza. Le grandi piazze sono il luogo del potere economico e politico fiorito in età moderna, rappresentato dai palazzi borghesi e dalla Rathaus, mentre la cattedrale, spesso decentrata, è immersa tra le stradine del cuore antico delle città.

I tetti di Breslavia

Ho subito l’occasione di verificare questo assioma, perché accanto alla chiesa un’alta torre mi ricorda qual è il mio sport preferito da queste parti, ovvero salire su tutte le torri campanarie che incontro e osservare lo spettacolo unico offerto dalle città polacche dall’alto. Anche a Breslavia, come a Danzica, c’è una rigidità nordica nella disposizione delle strade e nella struttura regolare degli edifici che potrebbe ricordare i monotoni paesaggi urbani delle isole britanniche. Ma qui il rigore geometrico è bilanciato dall’estrema varietà nelle forme e dimensioni dei tetti e dei cornicioni, dei frontoni e degli stucchi che li decorano, e soprattutto nei colori delle facciate, che sembrano scelti e disposti da un Mondrian lisergico.

Dopo le prime due torri “conquistate” posso già dire che la vista migliore si gode dalla Cattedrale di Santa Maria Maddalena, dove un ponte tra i due campanili, il Ponte della Penitenze, permette di guardare la Piazza del Mercato con gli stessi occhi della povera Tekla, una fanciulla a cui piaceva sedurre gli uomini senza sposarli e quindi venne imprigionata lassù a spazzare il ponte per l’eternità. Un giorno venne salvata da una strega di buon cuore, ma ancora oggi quando si passa sulla via sottostante, si ode un frusciare di scopa che viene dall’alto.

Dal campanile della Chiesa di Santa Elisabetta invece, il più alto, è possibile apprezzare al meglio la topografia della città. Si riconoscono il palazzo universitario che costeggia il fiume, e ancora oltre gli isolotti su cui venne fondata la città. Ed ecco laggiù infatti, come previsto, le guglie della cattedrale con la sua forma indecifrabile, e le sue torri. Devo salire anche su quelle, ovviamente, e dunque mi incammino.

L’ Aula Magna e l’Oratorio Mariano

Seguendo la riva sinistra dell’Oder raggiungo presto il complesso che ospita l’Università di Breslavia, fondata nel ‘700 dall’Imperatore Leopoldo. Dall’esterno ha un aspetto piuttosto severo, che ricorda più un monastero, e infatti era nato come Accademia dei Gesuiti. All’interno però nasconde due ambienti altamente scenografici, perfetti esempi del barocco nord-europeo: l’Oratorio Mariano e l’Aula Magna. Entrambe le sale sono dominate da una volta completamente affrescata, ma nell’Aula Magna le decorazioni scendono ad avvolgere i pilastri senza soluzione di continuità, e le figure che sulla volta sono dipinte si concretizzano in sculture che sembrano emergere dalle pareti, diventando a loro volta spettatrici. La ricchezza estrema della scenografia appare comunque più graziosa che grandiosa, e l’insieme risulta privo della pesantezza o solennità minacciosa tipica del barocco “mediterraneo”.

Il torrione centrale del palazzo ospita un piccolo museo di strumenti con cui nel corso dei secoli gli astronomi hanno osservato il sole e il cielo. Non dimentichiamo che la Polonia fu la terra di Hevelius e Keplero, e quindi ho la scusa per salire anche qui. La vista però è meno affascinante, quindi scendo rapidamente e mi incammino verso il Panorama di Raclawice.

E a questo punto devo aprire una piccola parentesi.

La spartizione della Polonia

La progressiva Spartizione della Polonia

Più mi addentro nelle vicende della storia polacca, più mi appare intricata. Ma per sommi capi diciamo che il regno di Polonia nel corso del ‘700 venne progressivamente smembrato e fagocitato da Prussia, Impero asburgico e Impero russo. Già nel 1792, quando scoppiò la Guerra russo-polacca, era ridotto ad una confederazione tra Polonia e Lituania che provava a barcamenarsi tra le potenze circostanti. E infatti la pace venne chiesta piuttosto velocemente dal re Stanislao II che probabilmente sperava di risolvere la contesa diplomaticamente, ma soprattutto temeva che una guerra popolare aprisse il contagio alle idee democratiche in arrivo dalla Francia. Purtroppo per lui invece quella mossa aprì le porte all’esercito russo che occupò quel che restava del suo regno.

Una parte dell’esercito tuttavia considerò un tradimento la scelta del Re, e quando i russi imposero la consegna delle armi, si verificarono numerose rivolte che forse sarebbero rimaste isolate e scoordinate, se un giorno non fosse arrivato a Cracovia il colonnello Tadeusz Kosciuszko.

Il colonnello Kosciuszko e le rivoluzioni

La Cattedrale del Wawel a Cracovia

Chi fosse costui lo so solo da pochi mesi, intendiamoci. Ne vidi il sepolcro a Cracovia, nella cripta della Cattedrale del Wawel, quello spettacolare esempio di chiesa sviluppata aggiungendo parti apparentemente incoerenti ma misteriosamente armoniche. Sarebbe nota per ospitare la Campana di Sigismondo, un gigantesco manufatto che può essere beneaugurante o catastrofico a seconda di chi lo tocca (ipotesi mia). Ebbene, nei suoi sotterranei accanto al principe Sobieski che salvò Vienna(ricordate?), riposa proprio l’eroe di questa storia.

Tadeus Kosciuszko (fonte:Wikimedia)

Era Kosciuszko un nobile polacco/lituano che mentre stava studiando a Parigi venne a conoscenza della Rivoluzione Americana. Contagiato dal clima illuminista che si respirava, decise di imbarcarsi per il Nuovo Mondo dove si arruolò nell’esercito delle Colonie. Si distinse soprattutto per le sue qualità di ingegnere militare e contribuì a creare il sistema di fortificazioni dei coloni, ma anche sul campo di battaglia diede prova di coraggio e capacità di comando, raggiungendo il grado di generale di brigata.

Dopo la vittoria dei neonati Stati Uniti rientrò in patria, e nel 1792 combatté nella guerra contro i russi senza peraltro venir mai sconfitto. Contrario all’armistizio, cominciò subito a pianificare una rivolta, e appena i russi occuparono il paese decise di agire. Entrò a Cracovia la notte del 24 marzo 1794 e la mattina seguente arringò la folla convincendo il popolo ad armarsi per difendere il paese. Decretò che “ogni casa fornisse un uomo e un fucile, o almeno un’ascia”, e così riuscì a radunare 10.000 volontari che condusse ad affrontare i russi in una piana fuori Cracovia, in una località chiamata Raclawice.

Il Panorama di Raclawice

La tela che celebra la Battaglia di Raclawice è conservata oggi in uno spazio circolare creato appositamente al centro del parco Slowacki. Al suo interno il monumentale dipinto si estende per tutto il perimetro della struttura, raggiungendo così i 120 metri di lunghezza per 15 di altezza. Le varie fasi della battaglia sono raffigurate in un unicum spazio-temporale di cui la carica di Kosciuszko rappresenta il fulcro naturale. Nonostante l’opera abbia chiaramente un intento più celebrativo che artistico, non vi troviamo le pose plastiche e “oleografiche” che spesso caratterizzano questo genere pittorico. La scelta dell’autore sembra invece quella di catturare un’istantanea casuale della battaglia, per regalare al visitatore l’illusione di assistervi in diretta. Purtroppo l’allestimento moderno ha aggiunto alle immagini alcuni elementi ambientali come cespugli, carri e barricate che dovrebbero aumentarne il realismo e di cui personalmente avrei fatto a meno, ma tant’è.

Per chi se lo domanda, ovviamente sì: i polacchi vinsero la battaglia. Incredibilmente, pur potendo contare su molte più asce che fucili, l’armata di contadini del colonnello Kosciuszko ebbe la meglio sui russi e scatenò l’entusiasmo e lo spirito di rivolta in tutto il paese. Ma come diceva Montanelli, quando un popolo si trova a celebrare l’eroismo di una battaglia, è molto molto probabile che la guerra l’abbia persa…

Dopo due anni la rivolta di Kosciusko venne definitivamente sedata e la Polonia di fatto cessò di esistere fino alla fine della Prima Guerra Mondiale. Tuttavia quell’impresa restò nella memoria collettiva e nel 1893, in occasione del centenario della battaglia, il pittore Jan Styka decise di celebrarla in un quadro. Con l’aiuto del pittore Wojciech Kossak dopo nove mesi terminò l’opera e la espose a Leopoli, che all’epoca era città polacca. Dopo la seconda guerra mondiale in confini mutarono, e il quadro venne spostato a Breslavia, dove per 40 anni restò conservato senza essere esposto. I motivi sono facilmente intuibili. Il regime socialista, legato a doppio filo a Mosca, non vedeva di buon occhio il rimestare le antiche lotte tra polacchi e russi. Ma negli anni ’80 si decise di tornare ad esporlo. E così dal 1985 venne costruita la rotonda dove ancora oggi lo troviamo.

Riflessioni sulla storia polacca

Mentre mi allontano dal Panorama di Raclawice, rifletto su quanto la nostra conoscenza della storia sia davvero limitata. Geograficamente, intendo. Studiamo la storia d’Italia, ci mancherebbe, e abbiamo una vaga idea di chi fossero Napoleone, Elisabetta I o il Barbarossa, e magari gli Aztechi. Ma delle terre al di là del Danubio e del Reno, non sappiamo effettivamente nulla. Non ne conosciamo le città(tranne Praga e Budapest), la lingua, la letteratura, la musica. Soprattutto non ne conosciamo la storia. Ed è un peccato, perché ad ogni viaggio scopro che è una storia estremamente avvincente, ricca di eventi, battaglie, rivoluzioni, intrighi e personaggi da romanzo.

La lotta per la sopravvivenza e l’indipendenza della Polonia, ad esempio, è un’avventura millenaria tragica ed eroica. Ma come ogni avventura necessitava di un antagonista, che solo in parte è stato il mondo germanico, come noi saremmo portati a pensare per la deformazione di prospettiva creata dal ‘900. Molto di più e per molto più tempo è stata, ed è tuttora, la Russia. E questo spiega molte cose.

In fondo diciamolo, fino a qualche decennio fa conoscere Garibaldi e non Kosciuszko per un italiano non è che fosse un grosso problema: vivevamo benissimo lo stesso. Ma una volta i paesi dell’Est erano davvero un altro mondo. Mentre adesso, qualsiasi cosa sia quest’entità abnorme chiamata Unione Europa, ormai l’abbiamo fatta e ne facciamo parte insieme, alla pari. Con questi popoli dovremmo condividere una visione, per non dire un’anima. E siamo invece due sconosciuti.

Ostrow Tumski, il cuore antico di Breslavia

Avvolto in questi pensieri raggiungo finalmente l’antico isolotto chiamato Ostrow Tumski: il cuore dell’antica Breslavia, dominato dalla Cattedrale di San Giovanni Battista e dalla collegiata di Santa Croce. La Cattedrale è visibile sin dall’imbocco del lungo viale su cui si affacciano gli edifici dell’antico borgo ricostruito fedelmente dopo la guerra. E più il viaggiatore si avvicina, più le guglie si alzano verso il cielo e la facciata somiglia al portale di un castello, più che di una chiesa. Giunto a i suoi piedi però ho una brutta sorpresa: anche a Breslavia gli edifici pubblici chiudono ben prima del tramonto. E questo vuol dire che non potrò salire sulle ultime due torri.

Con sommo disappunto, borbottando giro attorno all’isolato e scopro oltre una siepe un grande giardino. Vinco la tentazione di scavalcare e cammino fino a trovare l’ingresso vero e proprio di uno dei giardini più belli che abbia mai visto. Non saprei classificarlo, e se definirlo all’inglese o all’italiana. Forse più che un giardino è proprio un orto botanico, però pensato con un evidente intento estetico.

L’ora aiuta, i colori dei fiori ricevono la calda luce del tramonto e sembrano ancora più pastosi. Sullo sfondo l’imponente collegiata sembra un chiesetta di campagna. Sul prato ad ogni angolo una ragazza ha sequestrato il fidanzato per ottenere le foto con gli scorci migliori. Alla fine devo scavalcare davvero, per uscire oltre l’orario. Sono lontanissimo dalla base, dovrò camminare un bel po’, ma chissà che Breslavia non mi riservi qualche altra sorpresa.